« È in Sicilia che si trova la chiave di tutto… La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra…chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita».
(J.W.Goethe, “Viaggio in Italia”, 1817)
Una terra dalla bellezza sorprendente, solare, incantata, capace di riempire l’anima di quanti si lasciano trasportare dai suoi colori, dai profumi e dalle atmosfere magiche. Questa è la Sicilia. Ancora più bella in primavera, quando la natura al risveglio regala paesaggi suggestivi e in ogni paese si perpetuano i riti antichi e solenni della Pasqua in un continuo richiamo alla tradizione, al misticismo e alla fede popolare che regala a chi partecipa e a chi vi assiste emozioni dai sapori antichi e indimenticabili.
La Settimana Santa di Caltanissetta
Il Mercoledì Santo
Tradizione secolare della città è il corteo della Real Maestranza, unica nel suo genere, che apre i riti della Settimana Santa nissena riportando al passato, alla memoria e alla storia di quando la difesa della città era affidata alle milizie formate dalle corporazioni locali di arti e mestieri. Quando nel 1806 re Ferdinando IV giunse in città, i componenti delle maestranze nissene sfilarono in suo onore con tale fasto e maestosità che il sovrano definì il corteo “Reale”.
Ancora oggi la Real Maestranza mantiene inalterato il suo fascino storico . La mattina del mercoledì santo, a sfilare sono i componenti di tutte le antiche arti guidati da un “capitano” eletto ogni anno da una categoria diversa. Due sono i momenti che segnano la Real Maestranza: la mestizia per la Passione e Morte del Cristo e poi la gioia della Resurrezione. Sentimenti rappresentati da alcuni elementi indossati dai componenti della Maestranza, in primo luogo dal “capitano”, che si pone alla guida del corteo tenendo tra le mani un crocifisso velato di nero. Sia il capitano che gli altri componenti portano cravatta, guanti e calze nere. Dopo avere raggiungo la Cattedrale, per l’adorazione del SS. Sacramento, la solenne processione riprende a sfilare in un clima di gioia.
Le varicedde
Tradizione risalente al XIX secolo, le varicedde sonogruppi statuari che riproducono in piccolo la vare del Giovedì Santo. Si tratta di piccole opere d’arte che durante il resto dell’anno restano gelosamente custodite nelle abitazioni delle famiglie proprietarie. La sera del mercoledì santo vengono addobbate con fiori e luci fiori e portate in processione. Al termine vare vengono radunate in piazza Garibaldi per gli spettacolari fuochi d’artificio che concludono la processione.
Atteso per oltre un anno il Giovedì Santo è una giornata che il nisseno vive con grande trasporto e orgoglio perché probabilmente è la “festa” che maggiormente lo rappresenta. L’origine di questa tradizione risale al XVII secolo quando, secondo gli storici locali, aveva luogo una processione durante la quale la Congregazione di San Filippo Neri portava in giro per la città cinque piccole sculture in cartapesta rappresentanti episodi della Passione di Cristo.
Dopo diversi anni di abbandono, fu soltanto nel 1882 che la processione riprese su iniziativa di un gruppo di minatori scampati alla morte durante un’esplosione in miniera. Essi fecero costruire da due scultori di origine napoletana una “vara” raffigurante la Veronica. Sulla scia dell’iniziativa dei minatori altri ceti sociali della città commissionarono ai due scultori altri gruppi statuari da portare in processione il Giovedì Santo.
Nacque così la tradizione ormai divenuta famosa dei sedici gruppi statuari che in occasione della sera del Giovedì della Settimana Santa vengono portati per le vie della città tra due ali di folla. La processione spettacolare, sia per la bellezza delle “vare” sia per l’atmosfera che essa riesce a creare, si protrae fino a tarda notte quando l’aria quasi di “ festa” che accompagna la processione lascia il posto alla mestizia del Venerdì Santo.
Il Venerdì Santo
La struggente processione del “Cristo Nero” segna la giornata del Venerdì Santo. Secondo la leggenda il piccolo Crocifisso di ebano venne trovato alll’interno di una grotta tra due candele da alcuni “fogliamari” ovvero coloro che per vivere raccoglievano e vendevano erbe selvatiche. Ricca di misticismo e commovente partecipazione popolare, la processione si snoda lungo un percorso che attraversa buona parte del centro storico della città. Nell’aria densa del profumo di incenso, una folta fila di fedeli a piedi nudi accompagna il simulacro portato a spalla da discendenti di “fogliamari” che intonano le “lamintanze” antichi canti in dialetto arcaico che raccontano il dolore di Maria per la morte del Figlio.
Signore delle fasce di Pietraperzia
Una processione che avanza lenta nel cuore della notte tra le vie strette del paese appena rischiarate dalla luce dei lampioni. Il Venerdì Santo a Pietraperzia è il giorno del Signore delle Fasce. Una processione antica, risalente al XIII secolo, nata per volere della confraternita locale di Santa Maria Santissima del Soccorso che ancora oggi custodisce all’interno della Chiesa del Carmine i costumi originali risalenti al periodo medievale.
L’attesa e la preparazione della processione inizia già nel pomeriggio quando la trave in legno di cipresso alta più di otto metri, a cui verranno legate le fasce viene portata all’esterno della Chiesa del Carmine. Alla parte alta della trave viene posta una sorta di globo con vetri colorati, simbolo del mondo e delle sue diversità, di lì a poco i fedeli inizieranno a legare attorno a questa sfera centinaia di fasce bianche in tela di lino, lunghe 32 metri e larghe circa 40 centimetri. Dopo aver posto in cima al globo il Crocifisso, la lunga trave viene innalzata e ha inizio la processione. Le fasce bianche tenute dai fedeli vengono tese o allentate per mantenere l’equilibrio del fercolo. Seguono la processione i simulacri dell’Urna con il Cristo e della Madonna Addolorata. Particolare fascino per il loro sapore antico e per la caratteristica intonazione lamentevole esprimono le “Ladàte” che gruppi di persone cantano vagando per il paese o seguendo la processione che si conclude soltanto a tarda notte.
Il Venerdì Santo a Enna
Una delle Settimane Sante più ricche di suggestioni è quella celebrata a Enna i cui riti risalgono alla dominazione spagnola quando le confraternite, nate come corporazioni di arti e mestieri, vennero autorizzate a costituirsi liberamente come organizzazioni religiose per promuovere il culto, ricevendo dai sovrani norme precise e privilegi.
Momento clou della Settimana Santa ennese è il Venerdì Santo quando, nel primo pomeriggio, ben oltre duemila i confrati incappucciati in rigoroso ordine prestabilito ed in assoluto silenzio, danno vita alla processione. Ad aprire la sfilata, è la Compagnia della Passione, i cui confrati, portano su dei vassoi venticinque simboli del martirio di Cristo tra cui: la croce, la borsa con i trenta denari, la corona, la lanterna, il gallo, i chiodi e gli arnesi per la flagellazione. Seguono poi la altre Confraternite e i fercoli del Cristo morto e dell’Addolorata. Il corteo dopo aver percorso le vie della città giunge all’ex convento dei Cappuccini, dove viene impartita, ai fedeli, la benedizione con una croce reliquario contenente, secondo la leggenda, una spina della corona di Cristo
La Settimana Santa è un’ottima occasione per visitare Caltanissetta posta all’interno della Sicilia, una città ricca di monumenti, chiese e palazzi nobiliari testimonianze della storia cittadina fatta di alterne vicende dalla dominazione araba, all’avvento dei Moncada fino ad arrivare ai primi del Novecento quando la città divenne la capitale mondiale dell’estrazione delle zolfo.
Abbazia di Santo Spirito
L’Abbazia di Santo Spirito è una delle chiese più antiche di Sicilia. Originariamente era un casale fortificato costruito dagli arabi intorno al 900 d.C., come dimostrano le spesse mura, le feritoie e la torre quadrangolare.
La dominazione normanna e la conversione dell’isola trasformarono il casale in abbazia probabilmente intorno al 1086.
La chiesa presenta un’unica navata e conserva molte opere di importanza storica tra cui il fonte battesimale ad immersione di epoca normanna, intagliato in un unico blocco di pietra tufacea e realizzato da maestranze arabe come si evince dai disegni intagliati recanti elementi tipici dell’arte araba.
L’abbazia conserva anche un calice di stagno della stessa epoca, un’urna cineraria dell’epoca romana ed alcuni dipinti dal ‘300 e del ‘600.
Al di sopra del fonte battesimale si può ammirare il Crocifisso “dello Staglio” risalente al XV secolo e di forte influsso spagnolo.
Museo Archeologico
Immerso nella campagna nissena, a pochi metri dall’Abbazia di Santo Spirito, sorge il Museo Archeologico. Al suo interno il museo illustra la storia degli antichi insediamenti del territorio urbano ed extraurbano di Caltanissetta e di altri centri del territorio provinciale, dalla preistoria all’età tardo antica. Molti reperti provengono dai siti indigeni di Gibil Gabib e Sabucina, posti su alture a controllo del fiume Salso, una delle principali vie di penetrazione commerciale e militare dell’antichità, centri che furono ellenizzati da Gela per poi ricadere entrambi sotto il dominio di Agrigento.
Museo Diocesano
Il museo racchiude le testimonianze artistico e storiche della diocesi nissena, fondata nel 1844 da papa Gregorio XVI , che comprendeva numerosi importanti comuni del centro Sicilia. Le sue sale espositive conservano opere di arte sacra risalenti al XVI e XVII secolo. Si possono ammirare sculture, pitture, ori e paramenti di finissima fattura che raccontano la storia interessantissima della diocesi.
Museo Mineralogico
Testimonianza del passato minerario della città e della sua provincia, il museo è unico nel suo genere in tutto il sud Italia. Le sale espositive ospitano al loro interno una ricca collezione di minerali e fossili e un’esposizione permanente dedicata alla tecnologia mineraria per l’estrazione dello zolfo di Sicilia.
Presenti anche migliaia reperti fossili di varie epoche geologiche, tra cui una collezione di macrofossili che vanno dal periodo Siluriano al Quaternario. Il museo espone pezzi di particolare pregio mineralogico come un meteorite donato dal negus di Etiopia alla città e un Elephas mnaidriensis del Pleistocene.
Villa Romana del Casale di Piazza Armerina
La villa di epoca tardo imperiale risale al 320-350 d.C. Estesa per una superficie di 3500 metri quadrati, la villa appartenne probabilmente ad un esponente dell’aristocrazia senatoria romana. Ricca di elementi architettonici e decorativi, la villa è famosa per la bellezza dei mosaici che arricchiscono i pavimenti e le pareti raccontando lo stile di vita del proprietario. In essi si distinguono differenti cicli narrativi dedicati alla mitologia, ai poemi omerici, alla natura e alla vita quotidiana. Una ricchezza compositiva influenzata dalla cultura africana e celebrata in una moltitudine di ambienti a carattere pubblico e privato. All’interno della villa si possono visitare, oltre agli appartamenti padronali, la zona delle terme e gli ambienti di servizio. Dal 1997 la Villa è stata inserita dall’Unesco nella World Heritage List.
La Valle dei Templi di Agrigento
Pindaro la definì la “più bella tra le città dei mortali”, l’antica Akragas fu molto celebrata nel passato per il suo splendore facile da immaginare oggi percorrendo la meravigliosa Valle dei Templi, area archeologica tra le più importanti al mondo caratterizzata dall’eccezionale stato di conservazione dei templi dorici del periodo ellenico. Emblema della Valle è lo splendido Tempio della Concordia che si erge maestoso sulla Rupe Atenea. Innalzato intorno al 300 a. C. , il tempio ha una forma rettangolare e misura 843 metri quadrati. La cella dove si svolgevano i riti sacri è posta tra un’anticamera (il pronao) e un vestibolo (opistodomo) destinato alle offerte e agli arredi sacri.
Proseguendo per la passeggiata si possono ammirare:
il Tempio di Giove, innalzato dopo una vittoria conseguita da Akragas contro i Cartaginesi di Himera intorno al 480 a. C. Per le sue dimensioni era uno dei più grandiosi templi dell’antichità.
Il Tempio di Vulcano, risalente al V secolo, venne costruito su un ciglione roccioso che dominava la riva del fiume Hypsos.
Il Tempio di Era, costruito intorno al 450 a. C., di forma rettangolare il tempio poggiava su trentaquattro colonne delle quali oggi se ne conservano solo trenta.
Il Tempio dei Dioscuri , conosciuto come Tempio di Castore e Polluce, della struttura originaria mantiene solo quattro colonne.
Ben poco rimane anche del Tempio di Ercole, dalle rovine si evince però che doveva essere imponente proprio per simboleggiare la potenza e la forza dell’eroe a cui era stato intitolato.
La passeggiata alla Valle dei Templi con può non concludersi con una visita allo splendido Museo Archeologico all’interno del quale si può ammirare il Telamone dell’Olympeion, una colossale statua in calcarenite, databile tra il 480 e il 470 a.C. . Il Telamone faceva parte delle otto gigantesche statue poste tra una colonna e l’altra del tempio di Zeus. Il museo, inoltre, espone oltre cinque mila reperti che illustrano la storia del territorio agrigentino dalla preistoria fino alla fine dell’età greco-romana
Il Giardino della Kolymbetra di Agrigento
“Una piccola valle che, per la sua sorprendente fertilità, somiglia alla valle dell’Eden o a un angolo delle terra promessa” (Abate di Saint Non, 1778).
Il giardino della Kolymbetra si trova immerso nella Valle ei Templi, tra il templi di Castore e Polluce e Vulcano. Si tratta di un magnifico giardino di cinque ettari coltivati con diverse varietà arboree tipiche della Sicilia.
Abbandonato per decine di anni, il giardino è stato riportato al suo antico splendore grazie ad un intervento del Fondo Ambiente Italia. Passeggiando per il giardino, immersi nell’intenso profumo di zagara che si sprigiona dal bellissimo agrumeto ricco di limoni, arance e mandarini, ci si regala bellissimi scorci di paesaggio fatto di mandorli in fiore, olivi saraceni, carrubi, gelsi, fichi d’India , melograni , mirti e ginestre.
La Scala dei Turchi di Capo Rossello
Scala dei Turchi è un sperone di roccia bianca sospeso tra cielo e mare. Costituita di marna, una roccia sedimentaria di natura calcarea e argillosa dal caratteristico colore bianco puro, la scogliera si erge in mezzo a due spiagge di sabbia fine. Il nome Scala dei Turchi le venne dato per via delle incursioni saracene. I pirati provenienti dal mare trovavano in questo lembo di costa poco battuta dai venti un sicuro approdo.